Hai mai pensato a quanta strada deve fare l’acqua minerale prima di arrivare nel tuo bicchiere?
Ecco alcuni numeri. In Italia, ogni anno, vengono venduti 11 miliardi di litri di acqua minerale, ognuno dei quali viene in media trasportato su gomma per circa 100 chilometri. Tutto ciò comporta l’emissione di 1 miliardo di chilogrammi di CO2.
Gli Italiani sono i più grandi consumatori al mondo di acqua in bottiglia: negli ultimi vent’anni hanno triplicato il quantitativo consumato pro capite. Ogni Italiano beve infatti annualmente poco meno di 200 litri di acqua imbottigliata. È un consumo ben otto volte superiore alla media mondiale e il doppio rispetto al resto d’Europa!
All’interno del nostro Paese ci sono grandi differenze nelle abitudini di consumo dell’acqua. Per esempio, il 70% dei Sardi beve acqua minerale, mentre il 91% dei Trentini beve l’acqua potabile che sgorga dal rubinetto.
Sono 38 milioni gli Italiani che bevono acqua minerale. Il settore fattura quasi 5 miliardi di euro l’anno, con il primato mondiale di produzione. Un vero affare per un prodotto che scende spontaneamente dal cielo, passa sulla terra e dev’essere semplicemente imbottigliato e poi… pubblicizzato.
Il raffronto dei prezzi tra l’acqua minerale e la potabile è stupefacente: mediamente, un litro di acqua minerale costa 0,40 euro (circa 775 vecchie lire) al litro, contro 0,001 euro (meno di 2 vecchie lire) al litro dell’acqua potabile del rubinetto.
Tra le acque minerali commercializzate, le differenze di prezzo hanno dello sbalorditivo: tra la più cara e la meno cara la differenza di prezzo è di +455%. Fidati: questa differenza è determinata in larghissima parte dal costo della promozione pubblicitaria.
Oggi le acque minerali rappresentano in Italia uno dei maggiori investitori pubblicitari, un protagonista assoluto del mercato dell’advertising. Per convincere i consumatori a comprare l’acqua in bottiglia, a scapito di quella quasi gratuita del rubinetto, nel 2015 gli imbottigliatori hanno acquistato spazi pubblicitari per poco meno di 600 milioni di euro. Sono soldi spesi ogni anno per convincerci a comperare “l’acqua da bere”.
Ma perché tanti soldi in pubblicità? Per esempio, non si investe così tanto per la benzina, che è un altro bene di largo consumo!
Il fatto è che la benzina non ha bisogno di essere pubblicizzata perché non ha alternative. L’acqua in bottiglia invece ne ha. Ha cioè un concorrente formidabile: l’acqua degli acquedotti, che è generalmente buona (poche le eccezioni), controllata (più dell’acqua in bottiglia, come hanno dimostrato diverse inchieste), comoda (arriva direttamente in casa) e poco costosa (ne abbiamo già parlato). Se le acque minerali non fossero sostenute da una pubblicità martellante, nessuno o pochi sentirebbero il bisogno di comperarle.
Nel comparto dell’acqua minerale operano grandi gruppi industriali, che concentrano nelle loro mani rilevanti quote di mercato e investimenti pubblicitari. I primi quattro player coprono insieme oltre il 70% delle vendite.
Ma non è finita qui. L’acqua minerale è in genere venduta in bottiglie di plastica (PET), realizzate quindi con i derivati del petrolio. Queste bottiglie in genere non sono riciclate, e vanno pertanto a incrementare notevolmente la produzione di rifiuti.
Nel corso degli anni, si è andata sempre più consolidando la ricerca di soluzioni capaci di ridurre l’impatto ambientale provocato dalla realizzazione delle bottiglie d’acqua, vale a dire l’impatto provocato dalla loro produzione e dal loro trasporto al consumatore finale.
Diverse soluzioni sono state prese al riguardo. Una di queste è la realizzazione di una bottiglia ecocompatibile. Il packaging è realizzato con plastica ricavata dalla fermentazione degli zuccheri delle piante anziché dal petrolio, come avviene invece con le normali plastiche. Questa particolare bottiglia si può infatti smaltire in circa 70 giorni.
L’obiettivo da centrare entro il 2016 è poi il lancio della bio-bottiglia, cioè una confezione a base di polimeri di mais, che è biodegradabile e quindi a bassissimo impatto ambientale.
Peccato che la produzione di queste bottiglie comporti consumo di energia e di combustibili fossili per la loro produzione e per il loro trasporto fino ai luoghi di consumo! Per non parlare dell’impatto ambientale in termini di rifiuti prodotti.
Insomma: il ricorso alle acque in bottiglia potrebbe essere giustificato solo dalla necessità di sopperire alla scarsità di acqua potabile o di infrastrutture per trasportarla fino all’utente finale. Per esempio, nel deserto. Ma in termini di consumi totali, ai primi dieci posti del mondo ci sono i Paesi più industrializzati o comunque dei Paesi in cui la disponibilità di acqua potabile (se si eccettuano determinate aree) non risulta difficoltosa!
Chi ci guadagna?
Pochi a danno di molti. I proprietari delle acque minerali pagano cifre irrisorie per le concessioni di prelievo delle acque e fanno guadagni elevatissimi.
Un gigantesco (e superfluo) mercato, sostenuto dai grandi business dell’industria alimentare, ma anche dalle grandi società di autotrasporto, dai produttori di plastica, dalle principali agenzie di pubblicità. In effetti, i camion che spostano acqua da un punto all’altro dell’Italia rappresentano uno dei grandi affari dell’autotrasporto: stiamo parlando di circa 600.000 viaggi su Tir.
Ma non è tutto: miliardi di contenitori di plastica devono poi essere smaltiti, aumentando notevolmente il mostruoso giro di soldi che ruota intorno all’acqua in bottiglia.
Solo in Lombardia si vendono oltre due miliardi e mezzo di bottiglie in plastica all’anno, e solo 600 milioni di bottiglie in vetro, riciclabili. Per lo smaltimento delle bottiglie di plastica, i costi a carico della collettività lombarda nel 2001 hanno superato i 26 milioni di euro! Questo significa che, per la Lombardia, i ricavi delle concessioni per lo sfruttamento delle fonti d’acqua coprono un ventesimo dei costi per lo smaltimento dei vuoti!
La soluzione? Ce l’hai a portata di mano…
Se hai letto fin qui e sei (giustamente) arrabbiato, sappi che una soluzione a tutto questo c’è.
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